L'origine delle carte da gioco è tutt'oggi controversa e nessuna
ipotesi, aldilà della sua diffusione (fatto che non la rende certa) è
stata ancora definitivamente confermata. A tal riguardo, nel pieno
rispetto della pluralità della ricerca storiografica, è necessario
citare alcune tra le teorie più accreditate. Secondo alcuni studiosi le
immagini dei Tarocchi comparvero per la prima volta in Europa nel XIV secolo e le 22 carte degli Arcani Maggiori sarebbero di derivazione italiana. A suffragio di questa supposizione vi sarebbe una citazione del 1442, in due inventari del ducato estense di Ferrara, del pagamento della fornitura di Carte da trionphi.
Tuttavia, è fortemente in dubbio che potesse trattarsi delle stesse
carte conosciute come tarocchi in quanto a quell'epoca esistevano altri
giochi denominati "Triumphi" (come il già citato "gioco dei Trionfi del
Petrarca" conosciuto tramite un inventario fiorentino della prima metà
del Quattrocento).
Secondo altre teorie, i Tarocchi sarebbero molto più antichi e nel
corso del primo millennio il loro contenuto, alla stregua di un grande
mosaico, a causa degli errori dovuti alla trasmissione orale o per le
imprecisioni derivanti da un'errata riproduzione dei disegni, si sarebbe
gradatamente disperso ed i primitivi simboli si sarebbero disseminati
dando vita ai tanti giochi, spesso del tutto lontani dalla fonte
originaria, creati nelle epoche successive. Secondo lo storico
d'Allemagne ed il lessicografo Du Cange
nel 1337, negli statuti dell'Abbazia marsigliese di San Vittore fondata
dal monaco Giovanni Cassiano, si rinverrebbe il più antico riferimento
riferito al gioco di carte (compresi i Tarocchi) attualmente conosciuto,
cioè la menzione del divieto di svagarsi con il Paginae (in latino pagina, carta, pergamena): “Quod nulla persona audeat nec praesumat ludere ad taxillos nec ad paginas nec ad eyssychum" (Che nessuno osi o intraprenda il gioco dei dadi, delle carte o degli scacchi).
Infatti, questi generi di divertimento, ed in particolare le carte,
erano talmente abusati da tutta la popolazione, inclusi aristocratici e
religiosi, che furono emanate numerose ordinanze per la loro
proibizione, almeno in luoghi di culto quali l'interno delle cinta
murarie dei monasteri. Paginae sarebbe l'arcaico nome del gioco
di carte poiché nel 1408 i termini “carta” e “carta per giocare” vengono
usati nella stessa frase per definire il medesimo gioco (fatto che, per
inciso, spiegherebbe il perché la parola naip, utilizzata in spagnolo per designare le carte, potrebbe provenire dal fiammingo knaep che, parimenti, significa carta).
Aldilà delle ipotesi storiografiche, sappiamo che risale ad un periodo anteriore al 1447 la creazione di un mazzo per il duca milanese Filippo Maria Visconti
(morto nel 1447). Questo gioco è oggi il più antico tra quelli
conosciuti ed è conservato alla Yale University Library di New Haven (Connecticut).
Un altro mazzo praticamente identico a questo, ma più frammentario, è
conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano. In entrambi i casi tutte
le carte sono miniate col fondo in foglia d'oro o d'argento e lavori di punzonatura.
Il loro prezzo non è pervenuto ma era certamente molto alto in quanto
simili opere erano riservate solo alle corti signorili. Questi Tarocchi
furono quasi certamente dipinti dal pittore di corte Bonifacio Bembo, come si evince dalle affinità stilistiche con altre opere dello stesso artista. Ulteriori frammenti di mazzi sono di origine ferrarese: per esempio i Tarocchi detti di Carlo VI conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi; quelli detti "di Alessandro Sforza" conservati al Museo di Castel Ursino a Catania;
quelli di Ercole I d'Este conservati alla Yale University Library. Il
fatto che quasi tutti questi giochi (ed altri più recenti) siano giunti
incompleti è evidentemente legato alla fragilità del supporto cartaceo
ed alle citate persecuzioni che subirono le carte da gioco (spesso
soggette a roghi oppure sciolte nel macero per ricavarne cartapesta da riutilizzare). Non prima del 1450 fu realizzato il mazzo più completo a noi pervenuto, cioè i Tarocchi di Francesco Sforza, legato ai Visconti nel governo del ducato di Milano. Lo stemma ed il motto Visconteo "à bon droyt"
compaiono assieme ai simboli araldici della famiglia (un sole
raggiante; tre anelli con diamanti intrecciati; il biscione). Il mazzo,
conservato in tre gruppi separati, si trova presso l'Accademia Carrara
di Bergamo (26 carte), la Pierpont Morgan Library di New York (35 lame) e
la famiglia Colleoni di Bergamo (proprietaria di 13). Questi mazzi e le
loro varianti si diffusero nell'Italia settentrionale con diverse
interpretazioni illustratrive: per esempio, nella versione ferrarese la
Luna è rappresentata da uno o due astrologi, mentre in quella viscontea
una donna tiene una mezza luna nella mano destra; nei Tarocchi ferraresi
il Matto è un buffone tormentato da alcuni bambini mentre in quelli
lombardi è un mendicante gozzuto (evidente allusione al gozzo,
cioè la tipica malattia dei montanari della zona prealpina). A volte i
mazzi erano realizzati in occasione di matrimoni signorili ed in tal
caso gli emblemi dei due sposi erano dipinti sulla carta
dell'Innamorato.